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L’origine
del culto
Così
esordisce nelle primissime pagine il “manoscritto Fiori”.
Il registro dei morti della chiesa arcipretale di Alfonsine precisa che la morte
del bracciante, seguita immediatamente all'incidente, avvenne il 10 aprile 1714. All'origine
del culto c'è dunque un tremendo quanto comune incidente: alcuni braccianti di
Alfonsine stavano abbattendo alberi in una tenuta dei marchesi Spreti, detta
"
Scelse
una vecchia raffigurazione che teneva da tanti anni sopra il letto, e alla quale
insieme alla moglie era legato da una particolare devozione. L’immagine, di
manifattura ignota e datata anteriormente al 1714, era contenuta in "un
quadretto di maiolica in bassorilievo con doppia cornice ottagonale; La zona era molto frequentata, essendo un punto di passaggio soprattutto per molte donne e fanciulle che si recavano a far legna al bosco. Molti erano anche i viandanti che volevano andare oltre il fiume Po, costretti a fermarsi in attesa di traghettare. Lì infatti c'era una barca per il traghetto ("il Passetto", che così si chiamava allora, è il nome che ancora oggi caratterizza la zona). Capitava quindi che in molti si fermavano a recitare rosari o brevi preghiere.
I primi prodigi
Fu così che accaddero i primi prodigi. Il primo evento accadde poco tempo dopo l'inizio della venerazione della Madonna posta sull'albero.
Una donna di Piangipane, Antonia Battaglia, sposata a Sante Cortesi di Alfonsine, ammalata fin dal 1708, inabile a qualsiasi più piccola faccenda di casa, non avendo trovato alcun rimedio per il suo male, decise di ricorrere all'aiuto della Vergine che si venerava nel bosco degli Spreti, facendole promessa di visitarla per tre sabati consecutivi. Narra il Padre Agostino Romano Fiori che il primo sabato non ebbe nessun miglioramento, ma senza perdere la speranza nel secondo sabato ottenne una guarigione immediata.
Il secondo evento, nel maggio del 1715, una giovane donna di Alfonsine, oppressa da certi forti dolori alla vita, ottenne la guarigione. (dal manoscritto Fiori) "... L'anno seguente 1715, il primo giorno di maggio si fé condurre a venerare la pred[ett]a sagra immagine con viva fede di essere graziata una donna, che da tre mesi continui pativa acerbi dolori per tutta la vita, et avanti la stessa immag[in]e si sentì libera da tanto male, che come ella attestò, pareva che continuam[ent]e la divorasse. Avvenne però che dopo alcuni giorni se sentì soprafatta da nove doglie che la rendevano incapace quasi affatto per le faccende della sua casa, convenendole andare molte volte appoggiata a qualche bastone, e con pene; vi si aggiunse la febbre di un mese, che però la povera donna ricordevole della grazia già ricevuta e insperanzita di riceverne un'altra di nuovo per intercessione della B[eatissi]ma Vergine, promise di visitare per tre sabbati la sua sagra immag[in]e di cui scrivo, e cominciò a migliorare lo primo stesso sabb[at]o nel quale cominciò ad eseguire quanto aveva promesso, seguitando a star sempre una volta meglio, in modo tale, che nell'ult[im]o sabb[at]o si trovò quasi affatto libera, rimastale una sola piccola flussione ne piedi, per la quale sentiva qualche fastidio nel camminare, ma continuando essa a raccomandarsi di cuore alla Regina delle grazie, da lì a poco si ritrovò in perfetta salute. Chiamavasi q[ue]sta donna Nunziata, haveva anni 27 e suo padre era Fran[ces]co Minguzzi della parochia della Alfonsine"
L'immagine
fu sostata sull'albero vicino
La
fama di questi eventi si diffuse rapidamente. Cominciò ad affluire sempre più
gente che portava anche molte elemosine. Il Camerani le raccolse in un'apposita
cassetta per la manutenzione dell'immagine.
Il terzo evento avvenne nel luglio dello stesso anno quando Andrea Baldassarre Bonanzi di Ravenna condusse il piccolo figlio Raimondo, di tre anni presso la sacra immagine, in quanto colpito da febbre continua ed impossibilitato a mangiare. Il bambino guarì all'istante e il padre, notaio ravennate, si affrettò ad autenticare la grazia. (dal manoscritto Fiori). "... Verso la fine di luglio un cittadino di Ravenna p[er] nome Andrea Baldassarri Bonanzi, notaro colleggiato di Ravenna nella persona di un suo picciolo figliolo, p[er] nome Raiomondo, di cui in forma autentica attesta una grazia ricevuta con i precisi termini, che io fedelmente trascrivo. Attesto io infrascritto qualmente ritrovandosi un mio figliolo p[er] nome Raimondo aggravato per giorni venti da febre continua per lo che lo raccomandai alla s.s. Vergine detta del Bosco, che lo volesse liberare da detta febbre, [...], lo condussi meco avanti e sopra il mio somaro, essendo detto figliolo in età d'anni tre compiti, , quale a causa del d[etto] male così aggravato non mangiava di sorte alcuna, se non ben poco [...] e sub[it]o arivato avabnti detta B[eat]a Vergine e fatta bacciare la d[ett]a immagine da esso mio figliolo sub[it]o cominciò alla presenza di tutto il popolo, che era numeroso, a discorrere, e cominciare a mangiare certi biscottini che portai meco, quali avevano toccata d[etta] s.s. Imag[in]e e sub[it]o cessò la febre [...] In fede - Andrea Baldassarre Bonanzi attesto et affermo quanto di sopra e questa attestaz[ion]e è stata legalizzata et autenticata sotto il giorno decimo di settemb[r]e 1715 [...]"
Sopra l'immagine posta sul nuovo albero fu fatta una capannina di stuoie per far scolare l'acqua piovana. Sotto fu posta una semplice tavola di legno con alcune candele accese; davanti fu appeso un lanternino che ardeva continuamente, mentre ai lati furono poste due spalliere che raccoglievano i vari ex-voto: "voti, tavolette, archibugi, pistole spezzate, grucce, vezzi di coralli, anella, ed altri ornamenti femminili. Né a decorare il quadretto mancarono appresso bei doni, fra' quali un cristallo da ricoprirlo che mandava la pietà della contessa Samaritani ravignana" (da 'Notizie Historiche della Beata Vergine del Bosco' di G.F. Rambelli)
Liti, discussioni e contese tra la Curia di Faenza e il rettore della chiesa Santa Maria di Alfonsine
Verso la fine di luglio del 1715 il Vescovo di Cervia Mons. Camillo Spreti, in villeggiatura nella sua villa della parrocchia di Santerno, venne a conoscenza che nella tenuta di Alfonsine della sua nobile famiglia si trovava un'immagine miracolosa. S'informò presso il fattore Camerani e si fece consegnare le offerte raccolte che superavano i quattrocento scudi, e volle che in futuro fossero tutte affidate a lui. Informò il vescovo di Faenza, il Cardinale Giulio Piazza, Legato di Ferrara, dove pertanto aveva la sua dimora, dell'intenzione della sua famiglia di innalzare una chiesa intitolata alla Vergine del Bosco, viste le innumerevoli offerte. A un'eventuale mancanza di danaro, oltre le offerte avrebbe supplito la famiglia Spreti. Ma il 5 agosto, festa della Beata Vergine della Neve, l'arciprete di Fusignano e provicario di Alfonsine Don Francesco Maria Rocchi, su mandato del Vicario Generale di Faenza Mons. Piccarelli, andò a Madonna del Bosco con l'intenzione di portare a Faenza l'immagine, dopo aver avvisato per lettera Mons. Spreti.
Scontro fra marchesi: Calcagnini contro Spreti
La chiesa di Alfonsine dipendeva a quei tempi dall'arciprete di Fusignano. Non era ancora parrocchia autonoma e il suo incaricato era denominato Rettore. Su entrambe le parrocchie avevano il giuspatronato i marchesi Calcagnini di Fusignano. Mons. Spreti, Vescovo di Cervia, aveva appena ricevuta la lettera del cardinale Piazza che era favorevole alla proposta fatta di costruire lì una chiesa, quindi si incontrò con don Rocchi e insieme i due stabilirono che l'immagine doveva rimanere dov'era, con gran sollievo dei fedeli. Ma il 16 agosto, con una lettera del Vicario Generale di Faenza Mons. Piccarelli, di nuovo don Rocchi si presentò per togliere a tutti i costi la targa dall'albero. Mons. Spreti che si trovava ad Alfonsine arrivò immediatamente, ma dovette rispettare i poteri di Mons. Piccarelli e acconsentire alla rimozione dell'immagine. Intanto moltissimi fedeli erano accorsi per impedire tale allontanamento dell'immagine. L'incaricato che doveva staccare l'immagine dall'albero non vi riuscì, nonostante i violenti sforzi per rimuoverla. La gente intorno esultò di gioia al nuovo miracolo, che fu interpretato come un indiscutibile segno della volontà divina. Confuso il provicario don Rocchi dovette desistere dall'impresa. Mons. Spreti affidò allora l'incarico di custode temporaneo della cura dell'immagine e delle offerte a un suo famigliare, don Francesco Gamberoni. Le offerte erano arrivate va oltrepassare i mille scudi, e i doni preziosi ammontavano a un valore di duecento scudi. Il nuovo rettore della chiesa S. Maria di Alfonsine don Agostino Tosini andò di nuovo alla curia vescovile di faenza per portare alla chiesa di Alfonsine l'immagine e le elemosine fossero utilizzare a beneficio di tale chiesa, che sappiamo era bisognosa di forti interventi di recupero, perché ormai quasi cadente. Grandi furono le liti e le discussioni tra le due nobili famiglie : i Calcagnini e gli Spreti. Visto poi che la curia di Faenza si era schierata con gli Spreti non si intravvedeva nessun mezzo di conciliazione. La questione fu presentata a Roma, su richiesta esplicita di don Tosini.
17 giugno 1717
La Sacra Congregazione dei Vescovi e dei Regolari di Roma il 17 giugno 1717 sentenziò che la immagine della Beata Vergine del Bosco rimanesse dov'era, e che con le offerte raccolte le si erigesse una chiesa decorosa; accettò l'offerta dei Marchesi Spreti che si dichiararono disposti a provvedere personalmente a quanto fosse mancato per l'intera costruzione del tempio, impegnandosi a fornire anche le opportune suppellettili. A questo punto non mancava altro che l'inizio dei lavori (dal libro di Maria Elisabetta Ancarani "Per Grazia Ricevuta") L'inaugurazione del Santuario In esecuzione del decreto di Roma dell'anno prima, il 23 giugno del 1718 si iniziarono i lavori di costruzione di un elegante tempio ottagonale, lontano circa un quarto di miglio dall'albero sul quale era appesa l'immagine. Per far sorgere il tempio lungo una via pubblica i marchesi Spreti, che se ne erano assunti il compito, permutarono alcuni loro terreni con un vasto ripiano alla destra della riva del Po di Primaro, di proprietà di un possidente: Pellegrino Bonsi. Furono utilizzate le elemosine raccolte, che allora ammontavano circa a 2419 scudi. Il 21 novembre 1720, quando la chiesa era quasi completata, con grande partecipazione di popolo e pompa solenne, Mons. Camillo Spreti, Vescovo di Cervia, (avuta licenza dal Card. Piazza, Vescovo di Faenza) benedì la nuova chiesa, intitolandola a Maria Vergine della Neve; quindi fu levata la sacra immagine dall'albero, trasportata in processione e collocata sull'unico altare del tempietto. II 17 gennaio 1721 la chiesa fu completata sia all'esterno che all'interno e più tardi, nel 1748 fu innalzato il campanile annesso all'abitazione dei cappellani, già costruita con la chiesa. Nel luogo originario dell'immagine fu eretto un pilastro, che si può vedere tuttora lungo la via Raspona, nel quale era incisa nel marmo la seguente epigrafe:
All'interno della chiesa, sopra la porta d'ingresso, fu posta su marmo la seguente iscrizione:
Questa è la foto più vecchia della prima chiesa della Madonna del Bosco
Il
luogo si chiamava 'Passetto',
La chiesa fu costruita nel punto strategico di passaggio al di là del Po di Primaro. Qui il fiume prima del 1780 deviava bruscamente a sinistra (oggi resta traccia dell'antico fiume nella strada che va fino ad Anita, dopo l'osteria del ponte. Lì c'era il cosiddetto 'Passo' col traghetto di barche che metteva in comunicazione Longastrino e Filo con Alfonsine e Ravenna, (da qui il nome della località detta 'Passetto'). C'era quindi un flusso importante di gente e perciò il tempietto venne costruito qui vicino alla strada e al passo. La gente quindi veniva indotta a sostare in preghiera. Vennero chieste sempre più preghiere con feste e processioni solenni soprattutto quando negli anni 1742-46-48 ci fu un'epidemia di afta-epizootica che uccideva gli animali. Terminato il contagio seguirono celebrazioni di ringraziamento Nel 1765 i fedeli accorsero nuovamente per implorare la grazia della cessazione delle piogge torrenziali che allagavano le campagne. Nel 1784 e 1778 invece chiesero che la pioggia cedesse dal cielo sui campi aride per la prolungata siccità. In quel periodo il successo del santuario raggiunse il suo apice.
I Francesi di Napoleone portarono via tutto
Nel 1796 i francesi di Napoleone I fecero irruzione in tutte le città della Romagna depredarono anche la chiesa dell Madonna del Bosco portando via tutta l'argenteria.
La festa della Madonna del Bosco
La festa della Madonna del Bosco fu istituita nel 1807-08 in una domenica di maggio, da ripetersi tutti gli anni contro le ripetute grandini che in quei due anni avevano colpito la zona. Per qualche tempo questa fu realizzata con le offerte dei fedeli, ma dal 1815 la famiglia di Giuseppe Lanconelli, una delle più ricche di Alfonsine, volle che fosse celebrata a proprie spese. Dal
maggio 1832, dopo la morte di Lanconellì, la popolazione riprese a finanziare
la festa con le proprie oblazioni, testimoniando la propria fervida devozione
per
La celebrazione del centenario fu fatta ad Alfonsine
Nel 1820 fu solennemente celebrato il primo centenario della chiesa. Per tre anni un apposito comitato, composto da preti e laici, aveva lavorato per una degna riuscita di questa ricorrenza. I festeggiamenti, per comodità dei fedeli e per la disponibilità di spazi più ampi, si svolsero nella chiesa parrocchiale di Alfonsine dal 5 al 7 agosto. G. F. Rambellí, che prese parte alle celebrazioni, parla nel suo libro di queste giornate in modo molto dettagliato, servendosi anche di una memoria (andata distrutta nell'incendio del 1914) che il cappellano di Alfonsine, don Domenico Maria Ferri, aveva scritto e depositato nell'archivio parrocchiale a testimonianza dell'avvenimento. Secondo il Rambelli erano presenti oltre diecimila persone ed il giorno dopo l'afflusso della gente, "secondo i calcoli de' pratici non ascese a meno di trentamila individui".
L'inno
ufficiale della Madonna del Bosco
Tra le tante iniziative promosse in occasione del centenario, vi fu anche la pubblicazione di una raccolta di poesie sulla Madonna del Bosco. Una era della figlia del poeta alfonsinese Vincenzo Monti, Costanza Monti in Perticari. Questa poesia venne musicata dal maestro Paolo Bonfichi di Lodi e divenne l'inno ufficiale della Madonna del Bosco.
La decadenza del Santuario dal 1830 al 1900
Dopo il 1830, iniziò un periodo di affievolimento del culto. A ciò contribuì senza dubbio il fatto che:
Il ponte di legno del 1885 e sullo sfondo a destra il Santuario
La seconda distruzione e dispersione del patrimonio votivo
L'edificio fu lasciato in uno stato di quasi totale abbandono per un secolo; in certi periodi non vi si celebrava la messa nemmeno la domenica e il tempietto stesso subì un tale degrado che alla fine del XIX secolo era ridotto in uno stato non confacente ad un dignitoso svolgimento delle cerimonie liturgiche. È in questo periodo che si verificarono gravi episodi di distruzione e dispersione del patrimonio votivo. Don Primo Mazzotti (fu il responsabile del Santuario all'inizio del '900) attesta la scomparsa di "molti oggetti d'oro e d'argento" donati al Santuario in epoca post napoleonica, mentre furono bruciate innumerevoli tavolette dipinte, che ricordavano altrettante grazie ricevute dai devoti. Nonostante tutto si salvano dalla distruzione, forse perché esteticamente più apprezzate o perché in miglior stato di conservazione oppure perché di soggetto meno problematico, non pochi dipinti votivi del XVIII secolo, giunti sino a noi. La dispersione del patrimonio votivo tocca però anche il XIX secolo, stando alle informazioni fornite dal Mazzotti: "Ricordano i nostri vecchi di aver veduti i muri interni della chiesa letteralmente coperti di tavolette votive, più tardi, non si sa perché, bruciate, delle quali moltissime erano di data recente".
Nel 1890 i marchesi Spreti avevano prospettato al Vescovo di Faenza l'intenzione di cedere a quella diocesi la proprietà del tempietto. Don Primo Mazzotti, che dal 1907 aveva ricevuto l'incarico del Santuario, riuscì a far sì che il tempietto passasse in proprietà alla Diocesi. Il Vescovo di Faenza, Mons. Gioachino Cantagalli, intestò tutto (chiesa, canonica e terreno circostante) a Mons. Michele Veroli, direttore spirituale del Seminario, e ne affidò l'amministrazione a don Giuseppe Zoli. Don Primo Mazzotti rimase il cappellano del Santuario che doveva mantenerne i servizi di culto oltre che la custodia.
Come maturò l'idea di costruire una nuova chiesa La questione era se restaurare o ricostruire ex-novo la chiesa. Si decise di cavalcare la seconda ipotesi, approfittando del fatto che il Genio Civile stava facendo lavori di innalzamento degli argini del Po di Primaro, e anche di un loro allargamento. Essendo la chiesa a ridosso dell'argine se ne era progettata la demolizione, prevedendo un indennizzo in denaro. Con quei soldi e le offerte dei fedeli si sarebbe potuto pensare di costruire la nuova chiesa. Nel
maggio del
Il
Santuario divenne 'parrocchia'
Passato la ricorrenza del bicenternario del 1920, si riprese non solo a pensare alla nuova chiesa, ma anche alla possibilità di costituirla come parrocchia; con decreto del 17 febbraio 1926 di Mons. Ruggero Bovelli, Vescovo di Faenza, il santuario della Madonna del Bosco diventò finalmente parrocchia. Nello stesso anno fu nominato parroco don Aderito Calgarini, il quale, col suo carattere dinamico e volitivo, affrettò i tempi per l'inizio dei lavori, che cominciarono il 12 giugno 1928, con la demolizione della vecchia chiesa. L' immagine della Madonna, intanto, era stata trasferita nella chiesa dell'ospedale di Alfonsine e successivamente nella chiesa arcipretale.
In un anno fu costruita la nuova chiesa
L'architetto Luigi Gallamini presentò il progetto del nuovo edificio, che risultò di pieno gradimento e l'esecuzione dei lavori venne affidata all'Impresa Galliano Sintoni, che diede inizio ai lavori veri e propri il 4 agosto 1928. La chiesa nuova del 1929
Il 28 settembre 1929, con l'installazione della croce sulla facciata, venivano completati i lavori, mentre l'inaugurazione solenne ed il trasporto della sacra immagine nella nuova chiesa avvennero il 19 e 20 ottobre dello stesso anno.
1944 la distruzione del Santuario
Dopo vari stralci la chiesa fu totalmente arredata nell'agosto del 1944. Giusto in tempo per essere distrutta. Nell'estate 1944 si era in piena guerra mondiale, il fronte si avvicinava, seminando distruzione, morte e terrore. Il venerdì 22 settembre alle ore 13, dopo vari tentativi, alcuni aerei inglesi distrussero il ponte sul Reno. La
mattina del sabato 30 settembre alcune bombe inglesi caddero nei dintorni della
chiesa, per cui il parroco portò l'immagine ad Alfonsine, nascondendola in un
rifugio scavato sotto il pavimento in legno dello studio dell'arciprete; a
seguito del crollo della canonica, la targa subì alcune fratture, visibili
tuttora. Il
mercoledì 18 ottobre, a quindici anni dall'inaugurazione, la chiesa rimase
colpita nella parte destra da bombe di aerei inglesi, il resto fu compiuto
dall'artiglieria tedesca che, nel mese di novembre, quasi ogni giorno, la fece
bersaglio dei suoi tiri, colpendola con una cinquantina di granate e con bombe a
mano. Alla fine di novembre della chiesa non rimase che un mucchio di macerie, mentre il campanile, sebbene malconcio, era ancora in piedi. Temendo forse che potesse servire agli inglesi come punto di riferimento, i tedeschi lo fecero crollare, minandolo alla base: è il 21 dicembre. Il fronte di guerra sosta in questa zona dagli inizi del dicembre 1944 fino al 10 aprile 1945, quando Alfonsine è liberata.
La
ricostruzione del dopoguerra
Don
Calgarini si decise subito ad affrontare il problema della chiesa distrutta,
seppur consapevole che il clima religioso e sociale di Alfonsine fosse molto
cambiato: la gente in gran parte manifestava un atteggiamento più freddo ed
anche ostile verso Nell'aprile
1946 fu dato l'avvio al lungo iter per l'approvazione del progetto di
ricostruzione dell'edificio e del relativo finanziamento per i danni di guerra
da parte dello Stato. L'opera di Calgarini fu continuata dal successore don Quinto Bisi. I lavori cominciarono il 21 agosto 1951 ed il 4 maggio 1952 la chiesa fu solennemente inaugurata e consacrata dal vescovo di Faenza, Mons. Giuseppe Battaglia. Il nuovo santuario era stato ricostruito esattamente sul progetto di Gallamini ed era dunque praticamente identico all'edificio precedente. |